sabato 28 marzo 2020

step #04

Un'idea di resilienza la possiamo trovare nel mito dell’araba fenice, come già Carl Gustav Jung affermava.

 Questo sfavillante uccello di fuoco capace di risorgere dalle proprie ceneri dopo la morte viene per la prima volta descritto nell’antico Egitto identificato con Bennu, un uccello associato alle piene del Nilo, al sole e alla morte. Il mito, secondo Ovidio, narra di una rinascita ogni 500 anni sotto l’albero del bene e del male con lo scopo di acquisire dopo ogni vita maggiore saggezza. Per questo motivo, la fenice è solita tre giorni prima della sua morte costruire un nido con materiale prezioso e minuziosamente ricercato (bastoncini di cannella, di quercia, nardo e mirra) per poi morire in una spettacolare autocombustione. Tre giorni dopo essa risorge più forte di prima.

Il mito della fenice ben rappresenta l’uomo sia a livello globale sia individuale. Dal punto di vista più generale, il mito della fenice rappresenta la capacità dell’umanità resiliente, per citare Pascal, di crescere e imparare dagli ostacoli già superati delle generazioni precedenti per puntare a nuovi ostacoli, a nuove capacità e conoscenze.

Da un punto di vista più personale, invece, la preparazione del nido può rappresentare la raccolta di quegli elementi su cui fare forza, se lo vogliamo, nel momento della rinascita. Analogamente con il discorso universale, le nostre ceneri così come il nostro passato faranno sempre parte di noi e le utilizzeremo come base per costruire ciò che saremo in futuro.
 Tuttavia, parafrasando Viktor Frankl, neuropsichiatra e fondatore della logoterapia, sebbene un’esperienza traumatica sia sempre negativa, la reazione alla stessa è strettamente personale. Sta a noi scegliere se rialzarci e riprendere in mano la nostra vita risorgendo trionfanti dalle ceneri o abbatterci.

(Tratto dal mito della fenice di Ovidio)

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